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di Simona Zannoni Celebro e condivido anche così il mio giro di boa*. Perché arriva, si, il tempo, ed è concreto, reale, corporeo: è il tempo in cui intravedi e poi nuoti tutto intorno alla boa. La tua boa, quella che sapevi sarebbe arrivata, prima o poi, la stessa che appare in superficie, ma che tu continui a sentire in profondità solo a tratti raggiungibili. A nuoto, da sola, tra diverse correnti – fredde, fresche, tiepide – mi sono spinta molto in là, ben oltre lo spazio/tempo confortevole del nido amorevole che mi ha accolta, per tanto tempo, tempo caro. Sono stata ricacciata via da quel nido, poco importa quanto e se lo volessi, mi son ritrovata in mare aperto, senza saper nemmeno riuscire a ricordare, sempre e bene, come si facesse a nuotare. Rimanere a galla, sola, nelle correnti, tra il terrore e l’amore immenso per la profondità del mare. Ho nuotato per mesi: pochi tronchi, nessuna zattera e nessun orizzonte in vista. Ho incontrato pesci e pesciolini, rifiuti umani e alghe vischiose che richiamavano giù. Finché è apparsa lei, la boa. Mi aspettavo di raggiungerla in occasione di date ricorrenti, in passaggi scanditi da chissà quale calendario. Invece no. L’unico riferimento ciclico arriva dal mio corpo, come sempre, dal mio ciclo ormonale che sostiene, incoraggia, fluisce nelle mie correnti interiori, e sa come sancire il tempo del passaggio. È il momento di tornare a casa. ..e solo il Cielo sa quanto io sia fiera di essere arrivata fino qui senza aver cercato scampo, ripari fortuiti, ripieghi dissonanti. Nessuna zattera o salvagente, nemmeno il bisogno di odiare, nemmeno il bisogno di chiodi schiaccianti, nemmeno il bisogno di palliativi per ubriacarmi, distrarmi o portarmi via, in luoghi e tempi disperdenti. Sono rimasta sola in mezzo al mare, sapevo sarebbe arrivata la boa intorno a cui ruotare. Sapevo che solo così, incontrando e oltrepassando lei, avrei potuto tornare verso casa. Lì, ora, ruotando intorno alla boa, lascio e cedo tutto: la bellezza come la fatica vissute, la gratitudine come il peso vissuti. Lascio andare, lì, nelle correnti più profonde, affinché il mare trasformi e rinnovi. "Sulle sponde del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto" Qualche minuto per osservare, per onorare, per ringraziare, per augurare il bene. Si. Ma io ora torno verso casa. * Qui si intende un giro di boa simbolico, senza la minima intenzione di urtare la sensibilità di chi, comprensibilmente, sostituisce questa mia immagine con i naufragi terribili e tutt'altro che simbolici del nostro tempo, nei nostri mari.
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di Simona Zannoni Come sarebbe se riuscissimo a.. stare? Proprio stare. Stare lì, stare qui, stare ancora. Lì, se ne siamo ancora un po’ distanti; qui, se siamo riusciti ad entrarci dentro; ancora, se abbiamo imparato a resistere, almeno un po', nella resilienza, non più in fuga, non più distratti da altro. Non so bene come sarebbe si ci riuscissimo, un po' lo intuisco, a tratti lo vivo. Di fatto, la strada mi par quella. Lo stare nel proprio sentire è quello di chi non getta responsabilità altrove e al di fuori di sé. Lo stare nelle proprie scelte è quello di chi ha imparato a ricordare i gesti delle sue mani, mentre tesseva trama e ordito dei suoi giorni. Lo stare nel proprio corpo, qualunque sia, come unico, vero e immenso regalo. Lo stare nel proprio gaudio è quello di chi ha superato e integrato l’inesistente colpa, l’altrui peccato, primarie menzogne e primari inganni. Lo stare nel proprio dolore è quello di chi sa riconoscere ovunque la risorsa, l’opportunità, l’occasione per far crescere, ripulire e nutrire Anima. Lo stare sul confine dell'equilibrio-non-equilibrio è quello di chi riesce ad accogliere la perdita di controllo e si mette sulla strada per andare anche solo un po' oltre nonostante i non so e nonostante i mi perdo.. Lo stare nel contatto vivo con la Natura – Terra, Aria, Acqua, Fuoco, ma anche i cinque, sei, forse sette sensi, ognuna delle cellule, ognuna delle molecole – è quello di chi ha fatto pace, profonda, con l’incarnazione che ci attraversa, che ci precede e che dimenticherà le nostre identità. Lo stare nel silenzio di ciò che non so definire – perché troppo luminoso, troppo estatico, troppo oltre, troppo amore – è quello che regala tutto il nutrimento, la protezione, le risorse, il sostegno di cui sentiamo di aver bisogno. Tutte le volte che in questi anni di percorsi ed esperienze ho incontrato e vissuto potenti strumenti di guarigione profonda e crescita personale – fosse un percorso terapeutico, un vissuto doloroso, un cambiamento molto impegnativo, un tamburo, un respiro circolare, una sostanza enteogena, ma anche e soprattutto una relazione d’amore, una relazione sessuale, una qualunque possibilità di scendere in profondità – ogni volta, lo ripeto, torna la resistenza. La resistenza Quel che ci porta a fuggire. Quel che ci porta a mentire, in ultimo agli altri. Quel che ci rinchiude in una qualunque rassicurante, ma limitante definizione. Quel che ci porta a tornare in superficie. Quel che ci priva della speranza, della fiducia di farcela. Quel che ci allontana dall’intento iniziale. Quel che alimenta paura, anziché amore. Quel che realmente e potentemente ci porta dritti nel dolore. Non appare né bella, né utile, né piacevole, eppure incappiamo lì, ogni volta. In alcune situazioni la incontriamo e ne siamo consapevoli; in altre la neghiamo con la tenacia di tigri inferocite; in altre ancora ci arrendiamo, riducendo e impoverendo tutto ciò che in realtà siamo. Non ho risposte quando mi domando: “Perché resistiamo tanto?” Quale programma, quale dispositivo, quale hard disk, quale grave minaccia ci tenga intrappolati altrove e ci porti a resistere alla vita, al superamento del dolore, alla pienezza, alla gioia, alla comunione profonda.. No, io non lo so. Posso intuire qualcosa, ma il sapere è altro. Solo guardo con interesse e sorriso, oltre che con tremore riverente e silenzioso, i momenti di caos e di destabilizzazione i momenti del “Così non posso andare avanti”; i momenti in cui tutto intorno crolla e rimane unicamente il "Io so chi sono e so che ce la faccio". ..allora rimane la resa. Rimane Anima, apparentemente solo Anima. ..e penso che ce la faremo. Penso che andrà tutto bene. di Simona Zannoni Circa vent'anni fa un bravo medico - che tutt'ora stimo - ha ascoltato il racconto di me e del mio corpo per diverse decine di minuti. Avevo tanto da raccontare (come ognuno di noi quando sente di poter esprimere liberamente) e già da qualche anno praticavo e vivevo ogni giorno le mie amatissime Discipline Orientali (Riflessologia Plantare e Shiatsu) quindi la strada della ricerca e dell’approfondimento era già iniziata. Quel medico mi disse qualcosa che non ho mai dimenticato e cioè che ci sarebbero stati tre modi possibili, tre strade di accesso per arrivare al nocciolo di me stessa, per arrivare, se non alla cura, al mio.. chiamiamolo nucleo di benessere. «Una – mi disse – è la via della spiritualità; l’altra è la via della psicoanalisi; la terza è la via dell’alimentazione». È stato importante per me ascoltarlo e, di fatto, in questi ultimi vent'anni, ho approfondito e nutrito con dedizione e passione tutti e tre questi aspetti, come ricerca personale, prima di tutto. Esprimo spesso che ciò che mi ha portato alla mia adorata professione sono stati i sintomi e i disagi di allora, che non ho mai smesso di onorare e ringraziare. Per quel che riguardava la via della psicoanalisi, no, non ero né agevolata, né pronta, anzi: quel suggerimento mi offendeva, mi umiliava, mi innervosiva. «Ce l’ho sempre fatta da sola e continuerò a farcela da sola!» era il mio mantra. «Tutti i libri di auto-aiuto e di consapevolezza che mi leggo bastano e avanzano, e poi.. chi ce li ha tutti quei soldi?!» era il seguito del mantra. Tuttavia, quel suggerimento ad un certo punto ha fatto breccia, i soldi sono sempre stati lì e l’esperienza meravigliosa dell’analisi è arrivata, con innumerevoli e preziosissimi doni. Per quel che riguardava la via dell’alimentazione, fin da subito colsi quell’invito, nuovo e insolito per me allora – mi riferisco agli anni 1999-2000. Non sono tardate maestre e cuoche meravigliose, vere e proprie sciamane sui fornelli (non esagero) che mi hanno rieducato al potere e all’arte curativa degli alimenti e del cibo cucinato. Credo che anche su quel sentiero rimarrò tutta la vita e non smetterò di imparare e approfondire, ogni giorno, come sul sentiero della spiritualità. Però io mi sento di aggiungere una via. ..che non è necessariamente la quarta sulla lista, dopo le altre tre. È una via che ha come viandante privilegiato colui che contiene e racchiude in sé tutte le altre vie elencate, proprio come fosse un nastro incantato, un involucro potente quanto delicato, a tratti insondabile quanto meraviglioso, il più prezioso dei doni: il corpo. In questi anni di vita e condivisione umana e professionale l’amore per il corpo – per le sue modalità, le potenzialità, le espressioni, gli aneliti come i rigurgiti – è cresciuto a dismisura e mi porta a sentire che la via del corpo rimane la mia prediletta, la più autentica, per il mio sentire. Certo, non sono né la prima, né la sola, né l’ultima ad essersi innamorata e a nutrire questa via, ed io ne sono felice perché posso condividere questa mia passione con tante persone in cammino e in ricerca, posso imparare da tanti e tanti insegnanti sul sentiero con me. Non aggiungerò tante altre parole a questo articolo, la mia intenzione è quella di suscitare emozione e pensiero intorno alla bellezza di questa via, poco di più. Voglio invitare alla gratitudine per questo strumento preziosissimo, per questo veicolo meraviglioso, per questo bene inestimabile a disposizione delle nostre anime, così calate nella vita. Queste parole sono un omaggio al corpo, il mio ennesimo omaggio al corpo. Questo articolo vuole sottolineare e condividere la bellezza che incontro ogni giorno nel mio lavoro: il corpo è autentico, si esprime molto spesso con chiarezza (al di là del nostro non saper vedere o considerare) e troppe volte lo obblighiamo a sopravvivere ai nostri soprusi. E nonostante tutto, oltre le innumerevoli pulsioni - fuori e dentro di noi - il corpo vive e si riproduce grazie alla sua saggezza antica e ancestrale, comune denominatore profondissimo di ognuno di noi. È sempre attraverso il corpo che aneliamo alla spiritualità. È grazie al corpo che accediamo all’inconscio o viviamo emozione. È il nostro corpo che elabora e porta vita attraverso il cibo. Inoltre, è sempre il corpo che ci permette di amare e di appassionarci, di portare frutto e creatività. È un grande privilegio occuparmi dei corpi. Ringrazio. |
L'autriceBenvenuto e Benvenuta Archivi
Novembre 2018
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